
“Cambiare” o devastare?
Quello che viene definito “cambiamento” è in realtà una devastazione: installare impianti di produzione o di accumulo di energia su terreni agricoli, montani, ricchi di biodiversità, significa industrializzarli irreversibilmente. I privati investitori delle rinnovabili potranno continuare a sfruttare le aree di cui sono entrati in possesso, oppure abbandonarle così come sono; in ogni caso saranno irreversibilmente cementificate, perché la normativa vigente non è sufficiente a garantire la dismissione, lo smaltimento degli impianti e il ripristino dei terreni.
Perché consumare altro suolo?
Cementificare ulteriore suolo non è un male necessario, è un danno inutile: in Italia ci sono 21.578 kmq di superfici già cementificate. Di queste, sono centinaia i kmq utilizzabili per impianti fotovoltaici: coperture di parcheggi e di edifici industriali, commerciali e privati; binari, asfalto e pannellature autostradali; cave dismesse (in Italia sono almeno 14.000), ecc. per un totale più che sufficiente a garantire la quota di energia rinnovabile prevista per l’Italia dall’Unione Europea.
Per raggiungere i 70 GW di produzione supplementare di energia da fonti rinnovabili entro il 2030 in Italia basterebbero dai 350 ai 500 kmq di fotovoltaico su superficie artificiale, ovvero il 2/2.5% della superficie effettivamente disponibile.
Per raggiungere lo stesso quantitativo su superficie naturale (fotovoltaico a terra su terreni agricoli/selvatici) servirebbero 700 kmq, perché nel percorso di trasmissione si disperde il 50% della materia energetica.
(Studio ISOF – Istituto per la Sintesi Organica e la Fotoreattività del CNR basato sui dati ISPRA):
Il contributo del brownfield alla transizione energetica
“Costruire su brownfield - ovvero utilizzando terreni precedentemente urbanizzati e dismessi per la costruzione di nuovi edifici residenziali o industriali – dovrebbe essere la strada maestra, in un Paese come l’Italia che è il quinto per consumo di suolo in Europa, ha oltre 310 km quadrati di edifici non utilizzati e il 7,16% di superficie impermeabilizzata, contro una media europea che va poco oltre il 4%, come rileva l’ultimo rapporto dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). Rendere più conveniente operare su brownfield è tanto più urgente se si considera che l’Italia si è proposta di raggiungere il consumo zero di suolo entro il 2030.” (Alexis Paparo, Iter semplificato e premialità, formula che spinge il brownfield”, da Il Sole 24 Ore, 3 febbraio 2025)
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