
“L’industria delle rinnovabili salverà il pianeta”?
Il rapporto costi/benefici degli impianti industriali di produzione e stoccaggio di materia energetica da fonti rinnovabili è vantaggioso solo se è a costo zero per l’ambiente e per i contribuenti.
Dei costi ambientali l’opinione pubblica non viene informata.
I costi in bolletta sono sotto gli occhi di tutti.
Il costo per i contribuenti
Al momento gli incentivi ricevuti dalle società imprenditrici li pagano i contribuenti:
sulle nostre bollette vengono ancora addebitati i costi delle FER installate fino al 2020;
sugli oneri di sistema graveranno anche i costi per stoccaggi e ampliamenti della rete elettrica – costi che NON sarebbero così alti se gli impianti FER NON venissero realizzati nelle remote aree di rispetto dei territori con vincoli ambientali/paesaggistici.
In ogni caso
il costo dell’energia non si abbasserà in virtù della presenza di impianti FER (basti pensare alla catastrofica esperienza della Germania, dove l’industria è in crisi anche a causa degli alti costi dell’energia) perché i costi del dispacciamento e i costi dello smaltimento degli impianti (vita media 20 anni) ricadranno sui contribuenti.
e poi ci sono i costi ambientali, che hanno ricadute sugli equilibri sociali ed economici degli abitanti:
° la perdita dei servizi ecosistemici legata al consumo di suolo costa al Paese 400 milioni di euro l’anno per danni da disastri ambientali (ISPRA);
° l’industrializzazione del paesaggio si traduce in impoverimento della popolazione che vive sull’agricoltura e sul turismo
Silenzio sugli impatti ambientali, ignoranza sulle metriche che li misurano
Abbattere alberi, sbancare crinali, foderare terreni di neri pannelli fotovoltaici (con conseguente effetto albedo: creazione di bolle di calore) non può essere considerato uno strumento di lotta alle emissioni di CO2, soprattutto quando si può evitarlo collocando gli impianti in aree già cementificate, e soprattutto nel caso degli impianti eolici:
II contributo dell’eolico italiano all’abbattimento delle emissioni di CO2 a livello globale è dello 0,01%, da cui sottrarre il mancato sequestro di CO2 (per disboscamenti e sbancamenti) e le emissioni prodotte per produrre, trasportare e installare le turbine. Da mettere in conto sono anche i danni idrogeologici e quelli alla biodiversità, alla salute e all’economia pubblica; tutti danni irreversibili considerando che:
i terreni sbancati per le piattaforme delle turbine (quasi 8000 tonnellate di calcestruzzo armato) saranno definitivamente sottratti all’agricoltura e in ogni caso saranno declassati a siti industriali;
torri, turbine e pale eoliche (vita media di 20 anni) sono realizzate in vetroresine impossibili da smaltire, tali che “se non si interviene entro il 2050 le discariche, a livello globale, potrebbero ospitarne 40 milioni di tonnellate”.
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